Chi decide se sei bella?

Chi decide se sei bella?

Fin dall’antichità la bellezza femminile è stata valutata sulla base di un modello estetico di riferimento, riconosciuto dalla società in un determinato contesto storico e culturale: dall’ideale discendono i canoni estetici, ovvero le caratteristiche tipiche della bellezza. In tal senso, maggiore è la somiglianza della donna a parametri predefiniti, maggiormente essa è considerata bella. Ma l’ideale estetico non è un criterio assoluto e non è riconosciuto valido in tutti i tempi e luoghi; la bellezza rappresenta una costruzione socioculturale e, in quanto tale, si genera e si modifica nell’alveo della società e della cultura entro cui si colloca seguendo mode, costumi, consuetudini sociali e culturali. Questo è ben rilevabile andando ad osservare come ogni epoca storica si distingua per un proprio ideale di bellezza peculiare, sempre diverso.

Per molti secoli sono stati attribuiti alla figura corporea formosa significati socioculturali connessi al benessere economico, attribuendo invece caratteri di povertà a quella esile; per questo, la bellezza ottocentesca in Europa, e ancor oggi in alcuni paesi poveri, pone enfasi sulle forme femminili morbide e abbondanti, svalutando il concetto di attività fisica in quanto solo le donne ricche potevano permettersi la non attività. Il ‘900 è un secolo di repentini mutamenti a livello politico, economico, culturale e, così, anche di canoni estetici: si passa dall’esaltazione dell’androginia della donna degli anni ’20 (capelli corti, corpo magro, forme adolescenziali), alla “politica del corpo femminile fascista” (secondo cui la donna italiana debba avere forme prosperose e ampi fianchi per essere forte e robusta ed occuparsi della famiglia), alla donna maggiorata degli anni ’50 tutta forme e vitino da vespa, fino alla silhouette “grissino” degli anni ’60.

Dagli inizi degli anni Novanta si assiste all’affermarsi della magrezza come ideale estetico, a cui vengono attribuiti qualità e significati psicologici, ovvero il corpo esile e scattante viene indissolubilmente associato a sicurezza in sé, determinazione, autoaffermazione sociale. In tal senso, si crea un’associazione tra le forme del corpo filiforme ed il cambiamento del ruolo sociale della donna che, da madre e moglie, inizia ad impegnarsi maggiormente nella carriera professionale, alla ricerca del potere economico e del successo.

Al giorno d’oggi, l’ideale del corpo magro è esasperato e riproposto in ogni luogo e momento della giornata: ragazze in costume su cartelloni chilometrici mentre andiamo al lavoro, donne sorridenti e perfette nelle pubblicità televisive mentre siamo a pranzo, modelle dalle gambe lunghissime sulle riviste di moda, ridondanti spot di prodotti dimagranti mentre ascoltiamo la radio in auto, a casa, in ufficio… tutti urlano che devi essere bella, magra, di successo! L’imperfezione è inaccettabile, terribile.

E le donne? Come reagiscono a questo bombardamento mediatico? Certamente, non essere come la società vorrebbe crea disagio e in tante cercano di adeguarsi ai canoni proposti, con conseguenze spesso gravi. Tuttavia, c’è chi protesta e manifesta apertamente il proprio diritto ad essere come si è; un esempio lo si riscontra nei fatti accaduti a Londra nel mese di Aprile 2015: Protein World, azienda leader nella produzione di prodotti per la perdita di peso tappezza la metropolitana londinese di poster raffiguranti la bellissima modella australiana Renee Somerfiled che posa in bikini affiancata dalla frase “Are you beach body ready”? (Sei pronta per questo corpo da spiaggia?). La campagna ha indignato gran parte delle donne di tutto il mondo ed è nato un movimento di protesta, sotto l’hashtag #eachbodysready, con l’obiettivo di difendere il mondo femminile dagli stereotipi imposti; sono state raccolte 50.000 firme per togliere dalla città i poster in questione. L’ Advertising Standards Authority (l’agenzia che controlla i contenuti della pubblicità nel Regno Unito) ha detto di aver ricevuto 216 denunce dove il messaggio della Protein World è definito “offensivo, irresponsabile e dannoso perché promuove l’immagine di un corpo non sano” ed è stato indispensabile intervenire con l’interruzione della campagna.

In contrapposizione, aumentano le campagne “curvy”, che rivendicano il diritto alle curve, come ad esempio Ashely Graham, modella che rappresenta l’orgoglio delle forme sovrabbondanti (vedi link 1 e link 2). E’ un messaggio che aiuta alla critica verso certa comunicazione pubblicitaria, anche se utilizza lo stesso codice comunicativo.

Renee Somerfield è stata tolta dalle pareti della metropolitana; milioni di donne hanno fatto una scelta.

Dottoressa Chiara Luongo

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